Ho letto “The Game” di Alessandro Baricco anche per voi

Quando lo scrittore più famoso d’Italia scrive un libro sulla “cultura digitale” l’occasione è perfetta per verificare lo stato di salute tecnologica del Paese

7 min readNov 4, 2018

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Alla fine non ho resistito e ho comprato e letto “The Game” il nuovo saggio di Alessandro Baricco dedicato alla “rivoluzione digitale” di questi ultimi 20 anni, affrontata sia dal punto di vista tecnologico che da quello culturale.

L’ho fatto perché si tratta di un testo indubbiamente rilevante su un argomento che mi sta molto a cuore. Ho letto e scritto sull'argomento per anni e l’intervento di un autore come Baricco, dopo l’interessante prova de “I barbari” qualche anno fa, promette di riportare la discussione su questi temi al centro del dibattito nazionale. “The Game” è infatti volato subito in cima alle classifiche di vendita, ed è stato discusso, affrontato e letto da quasi tutti gli addetti al settore dei media italiani. Il suo autore poi non è soltanto un uomo di cultura e uno “storyteller” (come ama definirsi) ma anche un imprenditore che ha fondato con successo la Scuola Holden di Torino.

Partiamo dagli aspetti positivi del libro, e ce ne sono diversi. La decisione di invertire il classico rapporto di causa effetto nel raccontare la genesi della rivoluzione digitale è interessante. Secondo Baricco non è la tecnologia ad aver cambiato l’uomo ma questo che, mutato dagli orrori del 900, ha costruito nuovi strumenti che gli permettessero di evolversi ulteriormente. Una suggestione interessante indipendentemente dalla sua esattezza. In fondo se leggiamo questo libro non è per accettare verità rivelate quanto per condividere uno sguardo “d’autore” su un mondo complesso. Baricco parla poi di come questo cambiamento sia stato totalizzante. Il “Game”, così lo chiama lui, non ha confini e scrive: “non perdere tempo a mettere a punto cose che possano avere un grande sviluppo; piuttosto cerca di inventare cose il cui sviluppo è infinito perché sono state pensate per contenere TUTTO”. Una bella definizione della moderna ossessione per la “scalabilità”, imperativo industriale che chiunque lavori nei media digitali avrà incontrato. Una volontà di conquista globale che pende come una spada di Damocle su qualunque buona idea ma che viene realizzata solo da pochissimi tra cui i soliti giganti citati a più riprese anche in questo testo: Facebook, Amazon, Google, Twitter, Apple, Microsoft.

“Il Web smaterializza gli umani” scrive ancora Baricco “Infatti si dice spedire una mail con Internet (io sono qua, lei viaggia) ma si dice navigare sul Web (sono io che mi muovo, non il mondo che si sposta)”. In queste piccole riflessioni lessicali così come nella bella ridefinizione di “Fake News” rinominata “Verità veloce” ci sono gli aspetti migliori di un libro come “The Game” che mettendo a fuoco i tic del lessico quotidiano riesce a indicare la possibile direzione verso cui siamo diretti. Il testo però ha mire ben più ambiziose. Le parole di Baricco così come le mappe che ogni tanto fanno capolino tra un capitolo e l’altro hanno infatti l’obiettivo di ridisegnare la geografia dell’evoluzione tecnologica degli ultimi decenni. A volte semplicemente raccontandola in maniera personale, altre dandone un’interpretazione originale, ardita e univoca in cui però è possibile scorgere più di un difetto di partenza.

Per prima la concezione di “Oltremondo” di cui si parla lungamente nel libro. La rete secondo Baricco sarebbe una vera e propria dimensione parallela che sta velocemente invadendo quella più reale e tangibile in cui viviamo ogni giorno. Il problema è allora quello di essere costretti a vivere tra due piani distinti in una “doppia trazione” in cui ha origine il nostro senso di spaesamento. Eppure questa antica sclerotizzazione lessicale di pensare al Web come uno spazio separato dalla realtà è qualcosa che sembra superata. Sicuramente dai millennials che vivono gli spazi social con dinamiche e intensità pari a quelle di qualunque ambiente fisico ma pure dalla legge italiana che, forzata dagli eventi, deve prendere coscienza di come una violenza perpetrata nel mondo digitale non è per nulla diversa o meno perseguibile di quella portata avanti in quello analogico. Eppure il concetto di “Oltremondo” è uno degli elementi fondanti della teoria del “Game” di Baricco che come tanti altri intellettuali sorpresi in mezza età dalla nascita della rete non la concepisce come un’estensione continua dell’esistente quanto come un suo contrario. Internet diventa allora un passaggio oltre lo specchio verso un mondo ricco di potenzialità, dai tratti magici, ma con risvolti sinistri e misterici. Eppure tra i mille esempi a disposizione basterebbe guardare alla nuova economica degli Influencer che più che campioni di chissà quale gioco virtuale sono veri e propri imprenditori individuali capaci di una fatturazione estremamente reale a fine mese.

Questo è il primo indizio di una sensazione d’estraneità dell’autore all'argomento trattato che continua a crescere per tutto il resto del libro. Anche se il “Game” di Baricco esistesse davvero probabilmente lui non ci ha mai giocato. Lo scrive chiaramente a più riprese quando spiega di come si è avvalso di assistenti più giovani che gli hanno gentilmente spiegato i social e “la magia delle GIF animate”. Quello di Baricco è uno sguardo sulla dimensione digitale lontano dal nucleo pulsante della questione e l’obiettivo principale del saggio diventa allora quello di far bere l’amaro calice della digitalizzazione a chi la guarda con diffidenza ma che a differenza dell’autore non ne ha neppure compreso dinamiche o potenzialità.

Il secondo indizio dell’estraneità di Baricco all'argomento è il suo insistere sulla questione politica. Gli ultimi capitoli del libro hanno frequenti digressioni sullo scenario italiano e essendo scritto ormai diversi mesi fa si parla ancora di M5s e della sua possibile alleanza con la Lega. Cercando di rendere quanto più contemporaneo un testo che si prefigge di parlare di futuro il rischio però è di arrivare in libreria suonando già vecchio. Non solo perché a differenza di un sito non riesce ad essere aggiornato con i quotidiani screzi tra Di Maio e Salvini ma soprattutto perché in questa sua decisione di riportare la politica al centro della discussione sulla cultura digitale Baricco dimostra nuovamente una sua stortura generazionale. Eppure solo qualche pagina prima lui stesso scrive chiaramente che chi gioca al “Game” alla politica non è interessato e che nel “gioco” non ci sono assiomi di partenza ma solo la laica volontà di rendere disponibili nuovi strumenti di espressione. Nonostante questo “The Game” non riesce ad evitare al lettore una lunga disanima sull'evoluzione del Movimento 5 Stelle e la loro natura di ribelli digitali ora apparentemente tradita. Contraddizioni di un fenomeno che, per quanto importante, è per stessa ammissione dell’autore alla periferia della discussione che il libro vorrebbe intavolare.

Per quanto rivelatori questi primi due errori sono veniali, dovuti più ad un handicap generazionale che ad una vera e propria stortura di pensiero. Quello che non si può perdonare a “The Game” è invece di tradire il principio su cui fonda il centro del suo ragionamento. Il “gioco” scrive Baricco è basato sulla capacità di dare il giusto “design” alle informazioni, nascondere la complessità in profondità e rendere la superficie delle cose facile da attraversare. Segue una lunghissima riflessione sulla presentazione di Steve Jobs del primo iPhone descritta come momento epifanico per l’evoluzione del mondo intero. Con questi presupposti anche la stessa scrittura di “The Game” si ripromette di avere un “design” quanto più adatto al tema trattato fallendo però clamorosamente.

Il libro è tutto un susseguirsi di parentesi quadre, incisi e a capo distribuiti con generosità con l’ovvia intenzione di aggiungere una forzata sensazione di dinamismo a quanto viene scritto. Ogni tanto Baricco si fa prendere la mano e si lancia in espressioni come “Se pensate a robot che ci pisceranno sulla testa siete fuori strada” o “da grande non avrebbe letto i giornali e a scuola si sarebbe rotto i coglioni a palla”. Suona incredibilmente goffo anche il neologismo “webbiamo” proposto per descrivere le nostre attività in rete. Dato il nuovo amore di Baricco per i meme qualcuno dovrebbe mostrargli quello divertente con il vecchio signor Burns dei Simpsons vestito da studente delle superiori che cerca grottescamente di sembrare un teenager. Spesso è proprio questa la sensazione che si prova leggendo alcuni passaggi di “The Game”.

Solo qualche giorno fa leggevo un lungo profilo del nuovo CEO dell’hipsterissimo Vice Media in cui si raccontava come la manger Nancy Dubuc per presentarsi a tutto il suo staff avesse fatto il madornale errore di scrivere una mail utilizzando il font “Comic Sans”. Un’imperdonabile gaffe di design molto simile a quella fatta da Baricco in questo libro ogni volta che decide di stupire il suo lettore seminando un po’ di turpiloquio a casaccio, parentesi quadre “moderne” o mappe che vorrebbero assomigliare alle infografiche che vediamo da qualche tempo in alcune riviste patinate.

Accantonato il sadismo di gridare che “il re è nudo” o quantomeno “travestito da supergiovane” bisogna ammettere che “The Game” è un libro che assolve quella che è la sua principale ragion d’essere ovvero costruire una mappa semplificata di quanto è recentemente successo nel mondo dei media e della tecnologia per un pubblico generalista. Un bigino di lusso insomma che non si limita a questo ma traccia anche traiettorie interessanti e originali. Per tutti gli altri, che siano addetti al settore, appassionati di cultura digitale, smanettoni, nerd o -dio li tenga alla larga- autentici millennials “The Game” somiglia più alla pubblicità della “Fibra” vista in Stazione Centrale mentre iniziavo la lettura del libro. Nella grafica del cartellone gigante tutto il mondo è improvvisamente cablato da un’eterea matassa di fili luminosi dentro cui, a voler vedere più da vicino, scorre un fluido trasparente senza forma né colore.

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