Iperspaventati
La puntata di Presadiretta su Rai 3 dedicata agli smartphone e ai meccanismi dei social network è un’occasione persa per parlare senza paura di una delle più grandi rivoluzioni tecnologiche di questo secolo
Alla fine ho recuperato online la puntata del programma Presadiretta dedicata alla tecnologia mobile e le sue conseguenze sull'uomo intitolata “Iperconnessi”. Il tema è in effetti tra i più importanti di questi anni: in che modo l’utilizzo massiccio degli smartphone ha cambiato il nostro rapporto con la conoscenza oltre che con le altre persone? Un quesito imponente e filosofico oltre che tecnologico che meriterebbe una risposta complessa e sfaccettata. Il programma snocciola subito dati importanti: nel mondo ci sono più schede SIM che abitanti, 7,8 miliardi contro i 7,5 e l’Italia è il terzo paese al mondo per penetrazione di cellulari.
A sorpresa un’interpretazione interessante della questione arriva proprio da uno dei primi intervistati. L’autore televisivo Giovanni Benincasa ha un rapporto ludico e al tempo stesso prudente con il proprio smartphone. Adora scaricare e utilizzare applicazioni che monitorano il traffico aereo, inquadrare un volo di passaggio e sognare spazi lontani mai visitati. Una “reverie” un po’ amnesica che descrive, nel bene e nel male, il grande potere di questi dispositivi capaci di allargare i nostri orizzonti, schiudere grandi possibilità col rischio di farci rimanere invischiati in una forma di allucinazione digitale. È proprio lui a dire: “Non è solo uscito il nuovo modello di iPhone, è uscito anche il nuovo modello di uomo”. Da questa presa di coscienza di cambio di paradigma universale la discussione nel programma avrebbe potuto imboccare la via più facile e indagare all’interno di questo equilibrio sottile tra aspetti positivi e negativi analizzando con tono agnostico il modo in cui il nostro cervello si rimodella davanti ad uno stimolo così massiccio. Una cosa per altro accaduta più volte nella storia dell’umanità. Dalla stampa al telegrafo passando per i televisori e i primi computer: ogni volta i profeti di sventura hanno gridato alla catastrofe eppure eccoci ancora qua a farci spaventare da un servizio tv. Dicevo “avrebbe potuto imboccare la via più facile” perché ovviamente il programma prende invece una piega completamente diversa.
Basta leggere i titoli dei vari servizi, che nella visione online si aprono di fianco allo schermo come un vero e proprio breviario degli orrori. “Cervello sotto attacco”, “Drogati di smartphone”, “Algoritmi diabolici”, “Analfabetismo e propaganda”. Paura eh? Iacona in studio prova sin dal primo blocco una difesa d’ufficio della propria linea editoriale “non siamo luddisti” dice in una clamorosa “excusatio non petita” liquidando poi come una battuta l’opinione secondo cui “la rete non va fermata, è la modernità”, neanche si trattasse di una barzelletta a cui non crede più nessuno. Non a caso la puntata inizia con una lunga intervista a Francesco Boccia, deputato PD e docente di economia, chiamato in causa in quanto “unico politico ad aver proposto un disegno di legge riguardo la Web Tax”. Apparentemente secondo Presadiretta tassare le compagnie tecnologiche è la soluzione giusta, inevitabile persino, alla faccia del dibattito internazionale sulla questione e sulla difficoltà di determinare dove e come un servizio venga erogato e debba quindi essere tassato. Forse perché l’attacco viene giudicata la miglior difesa dal lavaggio del cervello contenuto in ogni smartphone e portato avanti dalle grandi compagnie tecnologiche come spiegato nell'ora e mezza che segue la prima intervista.
Per tutta la durata della trasmissione si pronunciano senza colpo ferire frasi come: “Tutta questa roba ti succhia il cervello”. Un ricercatore americano ci spiega come “utilizzando lo smartphone con le spalle ricurve il mondo davanti a noi si restringe”. Alla faccia di chi online ha scoperto nuovi universi, imparato un lavoro, trovato l’amore, conosciuto una comunità in grado di aiutarlo nella propria condizione. C’è poi il classico momento in cui si paragonano le mele con le pere ovvero la lettura su schermo a quella di un “buon vecchio libro”. Tutto per argomentare la tesi secondo cui si sta creando una generazione che “non sa scrivere e non sa leggere” quando è chiaro che mai in nessun altro periodo della storia dell’uomo si è letto e scritto tanto come oggi e questo proprio grazie ai dispositivi tecnologici e le piattaforme che si sta cercando di denigrare.
Ma non basta la giornalista Lisa Iotti guarda pensosa annuendo verso gli intervistati che continuano a pronunciare con convinzione frasi come “Questi vogliono trasformarci in cavie da laboratorio che schiacciano leve” e persino “dovremmo passare più tempo ad annusare il profumo delle rose”. Una retorica talmente esasperata da risultare del tutto inoffensiva. Sicuramente non servirà a dissuadere i tanti ragazzi ipnotizzati dai loro smartphone, al massimo a tranquillizzerà gli spettatori ultraquarantenni del programma che pure continueranno a controllare Facebook dal loro cellulare trenta volte al giorno elettrizzati però da un sottile senso di colpa.
Quella che emerge dalla puntata è soprattutto una grande paura, accompagnata a una discreta confusione mentale. La condizione che Presadiretta proietta su gli alienati da cellulare è forse più presente nelle teste di una generazione travolta da un cambio di marcia tecnologico che non riesce a comprendere. Insomma ci vorrebbe un po’ meno di “qualcuno pensi ai bambini” e un po’ più di “qualcuno pensi ai loro genitori” perché oltre ad aver capito poco di cosa sta succedendo pretendono anche di spiegare agli altri cosa fare. Lo si evince dall'intervista al padre di famiglia che si lagna di come oggi “non ci siano più rapporti sociali” (sempre per colpa di cellulari e social network) per poi lamentarsi pochi minuti dopo di essere letteralmente invaso da troppi messaggi in gruppi Whatsapp in cui riemergono vecchie conoscenze dimenticate. Insomma siamo troppo soli o con troppa compagnia? Il dibattito ricorda, mutatis mutandis, quello altrettanto inconcludente portato avanti riguardo la vita notturna nelle nostre città. Se le strade sono deserte abbiamo paura per la nostra sicurezza e siamo pronti a gridare all'allarme stupri. Se le stesse strade sono troppo vive l’allarme è quello per la movida e le medesime persone che vorrebbero essere più sicure firmano per chiedere la chiusura dei locali. Insomma non sappiamo cosa vogliamo dalle nostre città e neppure dalla tecnologia che maneggiamo.
Infine è necessaria una nota sull'autrice stessa del servizio. La giornalista Lisa Iotti viaggia a velocità supersonica da una parte all'altra dell’Oceano intervistando programmatori pentiti, guru del digitale, vittime della tecnologia e persino Jaron Lanier tanto che è lecito domandarsi quale sia la sua posizione in tutto questo bailamme. Chiedersi qual è il rapporto con la tecnologia di chi ha il compito di raccontarla al pubblico è infatti una domanda legittima. La Iotti non ha un account Twitter, non è presente su Instagram, indizi che confermano l’attitudine di qualcuno che non è assolutamente abituato a discutere o a maneggiare la materia. L’impressione è quella di chi piuttosto che osservare un fenomeno dall'interno toccandolo con mano si ferma invece sull'uscio puntando l’indice con fare accusatorio. La distinzione non è di quelle oziose da bar dello sport tipo “Ma cosa vuol dire, che se non sai giocare meglio di Ronaldo non puoi commentare la partita di calcio in televisione?”. Qui nessuno chiede alla conduttrice di aver passato gli anni migliori della sua vita su 4Chan ma neppure di costruire un servizio di due ore sulla tecnologia senza averne mai avvicinate le problematiche se non superficialmente. Proprio oggi che zie, nonne e nipoti sono ugualmente “iperconnessi” decidere di far parlare di invasione tecnologica proprio da chi ne fa uno scarso uso sembra un controsenso ridicolo.
In tutto questo l’unica foglia di fico, in mancanza di un vero e proprio contraddittorio alle opinioni anti-social network di una superstar del settore come Lanier, è la sola Simona Panzeri, direttore comunicazione di Google. Presadiretta la incontra sul finire di trasmissione ma più che rispondere al merito delle questioni, dato che la giornalista spesso la interrompe o le parla sopra, lei riesce a malapena a spiegare come funziona il motore di ricerca nei suoi meccanismi più basilari. E mentre la conduttrice vuole sapere se “ci manipolano” la Panzeri risponde semplicemente che nessuno sta portando avanti un complotto segreto per lavare il cervello a mezzo mondo (poi ci chiediamo da dove viene la nostra anima complottista…) e che molto più semplicemente “La gente va su Google perché il sito funziona molto bene”.
Eppure di argomenti di cui parlare ce ne sarebbero stati tanti. Perché l’avvento degli smartphone e dei social network ci ha cambiato in maniera diversa dalle precedenti rivoluzioni tecnologiche? Una questione di velocità o di dimensioni? La privacy è davvero un valore inviolabile o anche questa ha subito una rimodulazione negli anni diventando valore di scambio che le persone sono disposte a mettere in gioco? Gli algoritmi di cui tanto si è parlato oltre a spingerci all’uso compulsivo di Instagram possono essere utili per districarci in una massa informativa altrimenti ingovernabile? In che modo questi potranno essere letti da una futura intelligenza artificiale? Ma delle risposte a queste domande nelle pur lunghe due ore non c’è traccia.
Dopo centoventi minuti e un’infinità di terribili minacce per il nostro presente e futuro arriva anzi la mazzata finale. Lisa Iotti con tono apocalittico chiede al professore Usa: “Ma allora siamo spacciati?”. Lui gli risponde sibillino che non sa ancora, che però probabilmente abbiamo passato il punto di non ritorno e insomma si, almeno un po’ siamo fregati. In queste due ore non abbiamo capito molto del perché la diffusione dello smartphone è una delle più grandi rivoluzioni di questo secolo, dei suoi pro e dei suoi contro o di come per quanto ci sembri già un cambiamento epocale non siamo che all'inizio di un processo ben più grande. In compenso l’ansia, quella si, è salita alle stelle.