“Studio 2054” di Dua Lipa non è il futuro degli eventi online
Il live streaming globale della popstar non trova la risposta alla domanda: “Come si fa a fare un concerto su internet?”
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Ho recuperato il concerto in streaming “Studio 2054” di Dua Lipa con più di una settimana di ritardo sulla trasmissione originale, non l’ho visto dunque nella maniera in cui è stato concepito per essere fruito. Il contenuto è rimasto online però per altri 10 giorni disponibile per la visione “on demand” a chiunque volesse pagare gli 8 euro e 50 del biglietto “virtuale” previsto. Questa cosa del vedere un concerto “dal vivo” in differita è un’aberrazione del formato originale ma anche l’occasione per indagare senza distrazioni un live distribuito digitalmente, metodologia che ha avuto un’enorme accelerazione a causa della crisi sanitaria globale che stiamo affrontando. La domanda che tutti ci facciamo infatti è: ora che non si può andare ad un concerto, né ad una fiera o al cinema, non al teatro e neanche negli studi di un programma tv c’è un modo di risolvere questo problema utilizzando la tecnologia?
A giudicare dai numeri diffusi “Studio 2054” è stato un successo: più di 5 milioni di persone in tutto il mondo hanno seguito il live (1,9 milioni solo in Cina dove è stato distribuito gratuitamente attraverso una rete di partner) rendendolo uno degli eventi in diretta più seguiti della storia di internet. Nonostante questo trionfo in termini numerici la visione dello show non fornisce le risposte che era lecito aspettarsi da uno sforzo produttivo del genere e dalle intelligenze creative coinvolte. Lo spettacolo sembra anzi più conservativo di quanto era lecito aspettarsi.
Già dai primi minuti l’impostazione è chiara: siamo in una sorta di studio di posa, la ratio dello schermo è 4:3 per dare al tutto un’impronta vintage un po’ anni ’80 come il titolo dello show vuole evocare. Dua Lipa arriva al microfono ed è circondata da ballerini che la acclamano, non c’è segno di una band di musicisti a supporto e l’effetto è quello di una canonica esibizione televisiva, sensazione che rimarrà per tutto il resto dello spettacolo. I musicisti compaiono solo dopo qualche minuto provando a convincerci che si tratta davvero di un concerto dal vivo e non semplicemente di una coreografia per le telecamere.
La voce di Dua è affogata nei cori e non emerge mai veramente. Non c’è traccia di cedimento o sbavatura e se da una parte è un bene dall’altra il risultato è artefatto: non riusciamo a capire quanto in ciò che stiamo ascoltando c’è di lei e quanto invece sono cori in sottofondo. Ci vuole l’arrivo di Kylie Minogue dopo più di 50 minuti per urlare un semplice “Ehy Ehy” ai ballerini che la circondano dimostrando finalmente che quel microfono che tengono in mano è acceso per davvero e che è possibile fare qualcosa di improvvisato con le persone fisicamente sul set. Trattandosi di uno streaming che basa il proprio valore di novità proprio nella natura in diretta l’elemento di improvvisazione non dovrebbe essere una cosa aliena ma una pietra angolare del concept. Anche questo però è l’indizio di stare vedendo più un’esibizione pensata per la prima serata tv che altro. Non a caso la regista scelta per coordinare il progetto è Liz Clare già al lavoro su trasmissioni come “The Voice” o “All Together Now”.
La regia è costruita su frequenti stacchi da una camera all’altra, un montaggio in diretta che aumenta la resa estetica ma toglie qualunque effetto di realtà a ciò che stiamo vedendo. Quando Dua Lipa esce di scena per tornare indossando un abito differente sembra sia passato un secolo invece che pochi secondi. In fondo quando siamo fisicamente ad un concerto non c’è montaggio possibile: ciò che vediamo è soltando la ripresa continua dei nostri occhi. Questa è una lezione che era stata correttamente messa in pratica dalle prime esperienze di ripresa live “User Generated” della storia social. Parlo dei primi videoclip degli OkGo o del lavoro del team francese de La Blogotheque che con i loro piani sequenza avevano creato un linguaggio condiviso di YouTube capace di restituire in video l’eccezionalità e l’irripetibilità dell’esibizione che stavano guardando, errori, imprevisti, imperfezioni comprese. Suggestioni come queste in “Studio 2054” compaiono solo occasionalmente: “New Rules” o “Fever” cantata assieme ad Angéle giocano maggiormente su una messa in scena teatrale, che svela anche le quinte e il backstage del set, e funzionano meglio del resto del concerto che rimane freddo e distante.
Chi qualche anno fa aveva provato a trovare una soluzione diversa al problema di creare un evento dal vivo online era stato il regista Spike Jonze. Incaricato da Google della direzione artistica dei primi YouTube Music Awards aveva organizzato una serata in cui nulla o quasi era programmato in scaletta e tutto si basava sull’improvvisazione e sulla reazione di conduttori e ospiti a ciò che accadeva durante lo streaming. Anche le esibizioni degli artisti coinvolti seguivano lo stesso concetto di performance legata al momento mettendo in scena veri e propri videoclip girati dal vivo in rigoroso piano sequenza, tecnica che li rendeva automaticamente autentici e irripetibili. Gli YouTube Music Awards di Jonze furono però un grosso fiasco tanto da convincere Google a cambiarne la formula negli anni seguenti e dimostrando la difficoltà nel combinare l’estetica digitale delle piattaforme social con un impianto di entertainment più mainstream para-televisivo pensato per un pubblico globale.
Tornando a “Studio 2054” la cosa più sorprendente di un evento digitale di questa portata è l’apparente volontà di ignorare le altre forme di comunicazione “dal vivo” che si stanno diffondendo online: da Twitch alle dirette Instagram con tutto quello che c’è nel mezzo. Nel progetto di Dua Lipa non c’è una chat dove i suoi fan che la stanno seguendo da diverse parti del mondo tutti nello stesso momento si possano incontrare e salutare tra loro. Non c’è la possibilità di intervenire manifestando il proprio entusiasmo: nessun cuoricino o pollice alzato per dimostrare l’apprezzamento di un particolare segmento. Non è stata prevista neppure una visione modello “Party” che permetta ai browser che visitano quel sito nello stesso momento di coordinarsi tra loro creando un evento condiviso, tecnologia che alcuni OTT tra cui Netflix ha iniziato a sperimentare. Insomma “Studio 2054” sembra essere finito online per puro caso, e il dover accedere ad un sito internet piuttosto che vederlo in diretta mondiale -ad esempio- su MTV finisce con il sembrare un limite dello show invece che l’occasione per sfruttare inedite possibilità.
È davvero questo il futuro dei concerti dal vivo online? Uno show televisivo inserito in una piattaforma tecnologica che si occupa della semplice distribuzione? L’esperienza di Dua Lipa è stata probabilmente un successo economico ma se il margine di guadagno immediato è interessante rimane il dubbio su come questo modello sia scalabile o ripetibile. Quanti altri concerti (noiosetti già ad una prima visione, figuriamoci ad una seconda) di questo tipo potrà proporci Dua Lipa? E i suoi colleghi meno famosi?
Ammesso e non concesso che il contenuto funzioni così com’è nella sua impostazione tradizionale è certamente ciò che c’è attorno a non restituire il valore aggiunto tipico dei concerti a cui siamo abituati e a cui oggi cerchiamo un surrogato in esperienze di questo tipo. Un evento dal vivo, di cui il live musicale è soltanto uno dei molteplici esempi possibili, è l’occasione per antonomasia in cui si sviluppa il cosiddetto “Effetto network” per cui più persone fruiscono un servizio o un contenuto e più questo assume di valore. Andiamo ad una conferenza o ad un festival non soltanto per ascoltare i nomi in cartellone ma anche perché “ci vanno tutti” e avremo occasione di incontrare altre persone con interessi comuni ai nostri riunite in un preciso luogo ad una certa ora. Se manca questo contorno l’evento stesso come lo conosciamo smette di esistere e si trasforma in qualcosa di diverso, meno interessante.
“Studio 2054” così come altre “prime volte” tecnologiche ha senso solo in quanto esperienza pionieristica che rimane però impossibile da applicare in maniera diffusa da altri soggetti. Così come il “paga quanto vuoi” dei Radiohead di “In Rainbows” non ha salvato l’industria discografica (ha funzionato per loro ma per nessun altro) o il paywall del New York Times è stato una strategia vincente per un brand leader di mercato ma non ha impedito a migliaia di piccoli editori locali di fallire.
Come ricorda giustamente l’analista Benedict Evans: “Ogni volta che acquisiamo un nuovo strumento cerchiamo di farlo funzionare alla vecchia maniera per poi accorgerci che ci permette di lavorare in maniera differente cambiando così completamente il nostro mestiere”. Lo show di Dua Lipa è esattamente questo: un tentativo di usare nuovi strumenti per fare cose vecchie. Rimaniamo in attesa di scoprire modi del tutto diversi di creare eventi dal vivo online che tengano però conto anche delle connessioni tra persone che ne costituiscono una parte fondamentale.